Parrocchia
di San Valentino in Mareson

Chiesa di San Valentino Martire

Secolo XV

Storia

Nel 1482 Leonardo Mascagnino da Mareson, a nome dei regolieri e con l’assenso del pievano di san Floriano, rivolse una supplica al vescovo Pietro Barozzi per ottenere il permesso di edificare una chiesa nell’abitato.

Il tempio, fornito della dote prescritta, venne costruito grazie alle oblazioni dei fedeli e consacrato nel mese di giugno del 1492.

Notizie specifiche sulla struttura architettonica del primitivo edificio si desumono dal verbale della Visita pastorale compiuta nel 1626.

Il fabbricato, a navata unica, aveva copertura a capriate lignee, sacrestia posta sul lato est, altare orientato a nord contenente una pregevole pala adornata da tre statue.

Il manufatto, tuttavia, risultava troppo piccolo per contenere i fedeli e celebrare degnamente il culto, tanto che nello stesso anno si intrapresero i primi lavori di ampliamento.

Le opere, che si protrassero a fasi alterne per oltre un secolo, si concretizzarono nella sistemazione del coro, nell’innalzamento degli altari minori dedicati a sant’Antonio da Padova e alla Santa Croce, nella sostituzione dell’altare maggiore con l’ancona intagliata da Andrea Brustolon e la pala dipinta da Girolamo Brusaferro.

Nel corso del Settecento il tempio, riccamente provvisto di arredi, paramenti e argenterie, venne dotato di una nuova sacrestia e di una nuova torre campanaria.

Nel 1859 il vescovo Giovanni Renier ottenne l’indulto affinché nell’edificio sacro potesse essere conservata l’Eucarestia, “privilegio” spettante esclusivamente alla matrice di san Nicolò di Fusine.

Nel 1944 la chiesa di San Valentino martire fu eletta a parrocchia.

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Architettura e Arte

Il manufatto pervenne alla configurazione planimetrica attuale nel 1951/52, quando fu demolita l’orchestra originaria per fare posto all’aggiunta di una nuova campata sul fronte ovest.

L’edificio, a navata unica con cappelle laterali, presenta copertura con volte a crociera; le vele del soffitto del presbiterio sono affrescate con eleganti motivi vegetamorfi.

Nell’abside trova posto un’imponente ancona lignea realizzata da Andrea Brustolon e dai suoi collaboratori nel 1731. 

L’alzata tripartita presenta due nicchie laterali nelle quali sono contenute le statue di sant’Antonio e di san Francesco. Sul timpano troneggia Cristo risorto tra quattro angeli festanti.

Nel 1732 l’altare venne completato dalla pala del veneziano Girolamo Brusaferro raffigurante la Madonna con il Bambino, sotto cui stanno san Nicolò, riconoscibile dagli attributi della mitra e del pastorale, e san Valentino, nell’atto di indicare il giovinetto epilettico deposto ai suoi piedi.

Nella cappella dedicata alla Santa Croce rifulge l’altare intagliato da Andrea Brustolon; la ricca ancona, del tipo “a portale”, è costituita da due colonne sulla cui cornice campeggia il gruppo della Deposizione di Cristo.

Ai lati della pala, di autore ignoto, si ergono le statue di san Giovanni Evangelista e della Maddalena, raffigurata con l’attributo iconografico del vaso d’unguento.

In prossimità dei capitelli due putti mostrano oggetti che rimandano simbolicamente alla Passione di Cristo.

Nell’altare dedicato a sant’Antonio da Padova, presumibilmente intagliato e dorato da Jacopo Costantini, è contenuta una tela attribuita a Nicolò de Barpi, già autore di una pala con simile impaginazione iconografica realizzata per la chiesa di sant’Antonio abate a Forno di Zoldo.

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Chiesa di San Carlo Borromeo

Secolo XX

Storia

L’attuale chiesa intitolata a San Carlo Borromeo fu edificata sul sedime del tempio originario, che andò completamente distrutto nell’incendio che devastò l’abitato nel settembre del 1961.

Ricostruita su progetto dell’ing. Vincenzo Barcolloni Corte a partire dal 1772, venne benedetta nell’agosto del 1976; dell’edificio primitivo conserva gli altari e alcune tele.

La diffusione nel Bellunese della devozione a Carlo Borromeo si deve al vescovo Luigi Lollino (1596-1625) che, dopo aver conosciuto e frequentato l’arcivescovo di Milano, fece erigere in suo onore un altare nella cattedrale del capoluogo.

Voluta dai Regolieri e dal pievano, la chiesa di Pecol fu edificata attorno al 1616 e completata nel 1626.

Dalle Relazioni delle Visite Pastorali condotte nel XVII secolo si evince che il manufatto, con soffitto a volta e abside rivolta a occidente, possedeva un pregevole altare, all’epoca non ancora dorato, contenente le statue del titolare e dei Santi Mamante e Francesco.

Verso la fine dei Seicento il campanilino ricavato in una finestra sopra l’ingresso venne sostituito con una torre contenente due campane.

Nel 1730 i deputati della Regola chiesero e ottennero il permesso di erigere nella chiesa una cappella con altare da dedicare alla Madonna del Parto. 

L’alto tasso di mortalità neonatale, spesso accompagnato dal decesso delle gestanti, spingeva molte donne a votarsi alla Vergine, per cui risultava particolarmente sentita l’esigenza di avere un luogo dove esprimere in raccoglimento la propria devozione mariana.

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Architettura e Arte

Il manufatto attuale presenta un impianto distributivo ad aula, con copertura a due falde sostenuta da puntoni lignei incrociati.

Lo storico altare maggiore è opera di Jacopo Costantini; colorato e dorato nel 1642, il manufatto si connota per la ricchezza dell’apparato decorativo che ha ritrovato il suo primitivo splendore a seguito dell’accurato restauro eseguito nel 1981.

Nelle nicchie dell’alzata trovano posto le statue lignee dei Santi Carlo Borromeo, in abiti cardinalizi, tra Mamante e Francesco.

Nella loggia sommitale è collocato il simulacro della Madonna di Loreto, coronato da quattro angeli.

L’altare minore, terminato nel 1732 e costituito dall’assemblaggio di pregevoli marmi policromi, contiene la pala raffigurante la Madonna in attesa del parto tra i santi Domenico e Giovanni Battista; la tela è attribuita al pittore Angelo Trevisani (1669-1753).

Sulle pareti dell’aula sono esposte quattro tele rappresentanti la Vergine con il Bambino, San Giuseppe, Sant’Antonio da Padova e San Nicolò vescovo.

“Gli olii, di non spregevole fattura, attestano la recezione da parte dell’anonimo autore della cultura tenebrista, ampiamente diffusa da Antonio Zanchi (1631-1722), il portabandiera dei pittori ”tenebrosi” del  Veneto” (F. Vizzuti, 2005).

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